Il più utilizzato e versatile è il calcolo della Carbon Footprint di prodotto (CFP).
Il Carbon Footprint calcola la quantificazione, lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, di tutte le emissioni di gas ad effetto serra o gas clima-alteranti (greenhouse gases, abbreviato GHG) ed è molto pratico poiché converte i dati raccolti in un’unica unità di misura di peso, espresso in CO2e (CO2 equivalente) che consente di comparare tra loro prodotti anche di diverse categorie merceologiche. Viene principalmente utilizzato per i prodotti industriali durevoli. Il calcolo della quantificazione della CFP viene ad oggi effettuato seguendo i requisiti del nuovo riferimento normativo univoco a livello internazionale, la ISO 14067.
Attraverso l’indicatore della Carbon Footprint possiamo, ad esempio, calcolare la convenienza ambientale che otteniamo dall’installazione di un impianto fotovoltaico domestico che, a fronte di un’emissione di circa 3,5 tonnellate di CO2e consente un risparmio di circa 50 tonnellate di CO2e, nell’arco dei 40 anni di utilizzo, con un rapporto di 1 a 14. Oppure che l’isolamento del tetto di una casa di medie dimensioni, con la tipica lana di vetro, fa risparmiare alla terra circa 35 tonnellate di CO2e con un’emissione, per produzione e posa in opera, di soli 350 kg di CO2e (rapporto di 1 a 100). È un indicatore che consentirebbe a un costruttore edile che volesse puntare sulla sostenibilità delle costruzioni, ad esempio, di investire su nuovi materiali e tecnologie per la realizzazione delle pareti, considerato che queste, da sole, pesano per il 60% circa delle emissioni di CO2e nella costruzione dell’intero fabbricato, finiture comprese. In questo campo, illuminata è la scelta di bioMASON di inventare un mattone ecologico che non necessita di cottura ad alte temperature (principale fase inquinante della produzione di mattoni).
Nell’industria alimentare la Carbon Footprint ha portato a una svolta importante a favore di una dieta vegana (di recente sostenuta anche dall’ONU) che, per la prima volta, indica la transizione verso una dieta priva di prodotti animali come la via da seguire per risolvere i problemi ambientali e alimentari che affliggono il pianeta. Si scopre infatti, secondo dati inizialmente diffusi dalla FAO nel 2006 e successivamente rielaborati dal Worldwatch Institute, che oltre il 50% delle emissioni di gas ad effetto serra (GHG) sia attribuibile al settore zootecnico per la produzione di bestiame da macello e all’intera filiera, deforestazioni comprese. Questo e altri risultati della carbon footprint hanno spostato l’attenzione del problema ecologico dai grandi impianti industriali, il traffico e il riscaldamento domestico al cibo come principale elemento di deturpazione del pianeta Terra.